I Incontro con il Cinema Latinoamericano – 2003

I Incontro con il Cinema Latinoamericano: Omaggio al Cinema Novo

presentazione
Il Cinema Novo è un movimento sorto all’interno del cinema brasiliano tradizionale, ma intende rappresentare la realtà del paese creando una coscienza critica. È sotto quest’aspetto che si può definire nuovo perché prodotto di un paese nuovo ed aspirazione verso una nuova forma d’espressione culturale ed artistica. L’origine del C.N. è doppia: in primo luogo proviene dal Neorealismo, che diventa, per il suo stile, il modello da seguire. In secondo luogo s’ispira alla Nouvelle Vague.
Il Cinema Novo non è profeta in patria. Difatti la popolarità del C.N. trova conferma nei diversi festival internazionali della Regione Ligure agli inizi degli anni 60′, che costituiscono il momento storico, autonomo ed espressivo della cultura cinematografica brasiliana.
Nel giugno del ’60 si svolge a Santa Margherita Ligure la I Rassegna Internazionale del Cinema voluta dal direttore della “Columbianum di Genova”, padre Angelo Arpa (appoggiato da Gianni Amico), che dà inizio ad una campagna per promuovere il cinema latinoamericano in Italia. Il Festival di Santa Margherita Ligure prosegue nel 1961 e poi trasferita nei due anni successivi a Sestri Levante, per concludersi infine a Genova, dove nel gennaio del 1965 avvenne l’ultima e quinta edizione.
Il 1963 è l’anno della svolta. Il C.N. consolida le proprie fondamenta in seguito al buon esito internazionale di tre capolavori conosciuti come la “trilogia do sertão”: Vidas secas, di Nelson Pereira dos Santos; Deus e o Diabo na Terra do Sol, di Glauber Rocha e, infine, Os Fuzis, di Rui Guerra. Considerando l’importanza fondamentalee che questo movimento ha in tutto il cosiddetto “Terzo Mondo”, abbiamo organizzato questo omaggio al Cinema Novo. Ci sentiamo davvero onorati nel presentare il Maestro Nelson Pereira dos Santos, del quale saranno proiettati tre film che appartengono al periodo del Cinema Novo.

Programma del I Incontro con il Cinema Latinoamericano

Vidas secas

Risultati immagini per vidas secas, film
Brasile / 1963
1h 03 / 35 mm / B&N / v.o.s.t.it.

Regia e sceneggiatura: Nelson Pereira dos Santos.
Soggetto: dal romanzo omonimo di Graciliano Ramos.
Fotografia: José Rosa, Luiz Carlos Barreto.
Montaggio: Rafael Justo Valverde.
Musica: Leonardo Alencar.
Interpreti e personaggi: Atila Iório (Fabiano), Maria Ribeiro (Sinha Vitoria), Orlando Macedo, Jofre Soares, i bambini Gilvan e Geninvaldo, il cane Baleia.
Produzione: Herbert Richers, Luiz Carlos Barreto, Danilo Trelles.

Tra il 1957 e il 1958 ci fu una grande siccità nel Nordeste e Nelson fu incaricato di immortalare l’evento con la cinepresa. Già allora aveva maturato l’idea di realizzare un film incentrato sulla siccità. Risale a quel periodo un movimento di ribellione legato alla questione agraria brasiliana: infatti, le Ligas Camponesas (appoggiate dal PCB), con a capo Francisco Julião, avevano iniziato la lotta contro gli abusi dei fazendeiros già nel 1955. Poiché la questione coinvolgeva tutti i ceti della società, Nelson ritenne importante la partecipazione al dibattito attraverso il messaggio cinematografico proponendo varie soluzioni per la crisi del settore agrario.
Fu così che in Nelson nacque l’idea del film dedicato alla terra; per realizzare questo progetto si ricordò che uno dei romanzi che aveva più rispondenza con la realtà e con lo spirito del Nordeste era Vidas Secas, scritto nel 1939 da Graciliano Ramos, suo “Deus Literário”.
In realtà il progetto di girare Vidas Secas (realizzato nel ’63) risale al 1959, ma fu interrotto a causa di un’inaspettata pioggia torrenziale che fece fiorire il sertão bahiano. Il regista, dinanzi alla “catastrofe”, improvvisò “Mandacaru Vermelho”. Quest’ultimo costituisce uno dei primi e validi tentativi di “scoperta” del Brasile per quanto riguarda l’autenticità della cultura nordestina. Attraverso il film Nelson fruga il Nordeste brasiliano e prende atto della sua realtà arretrata e tragica, a volte perfino grottesca, conferendole però una dimensione drammatica. L’importanza di questo decano del cinema brasiliano è da attribuirsi al lavoro capillare, fatto nei minimi dettagli, con cui tratta gli eventi storici e sociali.
La cospicua produzione filmica rende l’idea di come sia fondamentale per Nelson il desiderio di riscattare e far viva la memoria dei più grandi scrittori brasiliani. Primo fra tutti il suo “Deus Literário”, seguono poi Jorge Amado, Machado de Assis, Guimarães Rosa, Castro Alves, ed altri. L’intreccio del romanzo Vidas Secas si svolge tra gli anni 1940 e 1942, quando due grandi secas colpirono il Nordeste. Il film, omaggio a quest’opera immortale, inizia con una riflessione sul Nordeste brasiliano dove 27 milioni di abitanti vivono nella miseria più assoluta. Attraverso Vidas Secas, Nelson descrive il sertão, la vita dei transumanti, l’arretratezza e la loro principale nemica, la siccità, con il carico di problemi che essa comporta per i sertanejos; tutto questo però, in modo molto diverso da quanto fatto in O Cangaceiro e in O Pagador de promessas.
Il regista dipinge la fame dovuta alla siccità come il nemico peggiore dei sertanejos, ma non si sofferma su questo argomento: Nelson va oltre, accusando la cecità dei governanti. Per questo motivo la pellicola ha una finalità anche di propaganda politica: per salvare la situazione i governanti dovranno realizzare un’urgente riforma agraria. Di questo capolavoro non possiamo non apprezzare la fedeltà che il regista mantiene nei confronti dell’autore e del testo. E’ da rilevare, inoltre, il ruolo che Nelson assegna alla protagonista donna, denso di valori e di una forza tale da anticipare il movimento femminista.

Como era gostoso o meu francês
(Com’era buono il mio francese)
Brasile / 1971/ 35mm / 84′ / col. / v.o. s.t. fr.

Regia: Nelson Pereira dos Santos
Sceneggiatura: Nelson Pereira dos Santos, dialoghi in “tupí” Humberto Mauro
Fotografia: Dib Lufti
Scenografia: Regis Monteiro, Mara Chaves
Montaggio: Carlos Alberto Camuyrano
Musica: José Rodrix
Interpreti e personaggi: Arduíno Colassanti (il marinaio francese), Ana Maria Magalhães
(la ragazza), Eduardo Imbassahy Filho, Manfredo Colassanti, José Kleber, Gabriel Arcanjo, Luiz Carlos Lacerda de Freitas, Janira Santiago, Ana Maria Miranda.
Produzione: Condor Filmes, Luiz Carlos Barreto, Nelson Pereira dos Santos, K. M. Eckstein, César Thedim.

Nelson Pereira dos Santos gira nel 1973 Como era gostoso o meu Francês rivelando ancora una volta un’altra ispirazione gracilianesca: Caetés, romanzo scritto nel 1925 ma pubblicato nel 1933. Da quest’opera egli trae però soltanto un piccolo spunto, ovvero la parte concernente i Caetés.
Nelson maturò l’idea per la realizzazione di questo film quando girava Vidas Secas. Allora egli lavorava nel Nordeste ed era entrato in contatto con un gruppo di indios che, per molto tempo, era stato sottoposto alle cure paternalistiche dei gesuiti e che si trovava nella tappa finale di un lungo processo di acculturazione. In quella regione avvenne il famoso episodio della colonizzazione del Brasile: l’annientamento di tutta una nazione chiamata “Caetéis” o “Caetés”.

Prima di girare questo film delizioso Nelson dovette fare moltissime indagini etnologiche e storiche. Con il copione già pronto dovette vivere una vera e propria odissea: non trovava infatti alcun produttore disposto ad assumersi la responsabilità di un film sugli indios vestiti soltanto con la loro pelle: non era un problema economico, bensì “morale” sommato poi al momento politico di allora.
L’idea (come ricordato, nata già nel ’63) di realizzare questo film venne alla luce durante uno dei suoi viaggi quotidiani tra Niterói e Rio, dall’osservazione dell’Isola de Villegaignon, della Baia di Guanabara e dagli scenari immaginati da Nelson di come poteva essere il litorale fluminense ai tempi degli indios Tupinambás, dei portoghesi e dell’invasione francese.

In Caetés, romanzo psicologico, l’autore, (uomo dei nostri tempi che si sente Caeté) nel tentativo di recuperare la brasilianità, afferma “siamo tutti indios”. Nelson ci narra con la cinepresa ciò che accade tra gli indios del Nordeste brasiliano, a partire del più famoso atto di antropofagia nella storia del Brasile ai danni del vescovo Sardinha. Verso la fine degli anni ’60 il C.N. adotta con entusiasmo la tesi dell’Antropofagia di Oswald de Andrade secondo la quale bisogna divorare la cultura straniera per poi assimilarla, fino a ritrovare la vera identità brasiliana.

Attraverso questa “semplice commedia antropofaga”, Nelson P.d. S., ovvero “A Conciência do Cinema Novo”, ci propone una riflessione sul passato storico del Brasile. Como era Gostoso o meu Francês si colloca nel secolo XVI e racconta le vicissitudini di un colono francese prigioniero dei Tupinambás e dei malintesi risultanti dallo scontro/incontro fra le due culture, culminando poi in un finale inevitabile che racchiude una lezione di storia. Nelson prende diversi spunti dalla storia della conquista partendo dall’arrivo dei portoghesi e proseguendo poi con l’arrivo dei francesi (siamo in pieno centocinquantesimo anniversario dell’Indipendenza dal Portogallo).

Più volte egli ironizza sul carattere dei portoghesi, per esempio nei dialoghi fra due tupinambá a proposito di un francese: “Ele não chora como os portugueses”, “O português só anda com as mulheres”, oppure “O português não trouxe nada, são diferentes dos outros europeus”.
Nell’intreccio del film possiamo individuare precise indicazioni per interpretare avvenimenti del passato. Infatti l’importanza del cineasta paulista/carioca risiede anche nella sua sapienza e maestria nel portare a conoscenza questi eventi storici, di cui una buona parte del pubblico ignorava l’esistenza.

Il pubblico ha la possibilità di conoscere le fonti tradizionali: José de Anchieta, Renualdo Nóbrega, Pero de Magalhães Gandavo, Gabriel Soares de Souza, Jean Léry, l’abate Thevet, Hans Staden, ecc.
Nelson presenta attraverso i racconti e le illustrazioni dei cronisti, soprattutto del tedesco Staden, gli indios, “i selvaggi”, “i diabolici”: aggettivi questi che i cristiani davano loro e che, malgrado siano fossero trascorsi 500 anni, continuavano ad essere usati per misurare con lo stesso metro “morale” gli indios, che dovevano poi essere sterminati.
In Como era Gostoso o meu Francês il nostro regista mette in evidenza nuove preoccupazioni con un linguaggio più aperto e vigoroso, tant’è che ci presenta una novità: la maggior parte del film viene parlata in tupí (i dialoghi furono curati da Humberto Mauro), in francese e in portoghese, sottotitolato in portoghese, come a voler sottolineare l’importanza della propria identità. Il film finisce con una citazione di Mem de Sá, Governador Generale del Brasil nel 1557:

“Lá no mar pelejei, de maneira que nenhum tupiniquim ficou vivo,
estendidos ao longo da praja, rigidamente, os mortos ocuparam
cêrca de uma légua”.

Ovviamente, attraverso questa citazione, si legge l’intenzione di Nelson di proporre una riflessione sulla situazione attuale degli indios.
Fome de amor
(Fame d’amore)
Brasile / 1968
73 min. / 35mm / B&N / v.o.s.t.it.
Regia: Nelson Pereira dos Santos
Sceneggiatura:Nelson Pereira dos Santos, Luiz Carlos Ripper
Soggetto: Guilherme Figueiredo
Fotografia: Dib Lufti
Scenografia: Luiz Carlos Ripper
Montaggio: Rafael Justo Valverde
Musica: Guilhermo Magalhães Vaz
Interpreti: Leila Diniz, Arduíno Colassanti, Irene Stefania, Paulo Porto,
Manfredo Colassanti, Lia Rossi, Olga Danitch
Produzione: Herbert Richers Produçoes Cinematografica, Paulo Porto

Quattro persone molto diverse si incontrano in una piccola isola vicino a Rio. Alfredo, che è rimasto cieco, sordo e muto in seguito a un incidente, è il proprietario dell’isola, divenuta suo rifugio. Ula, sensuale e molto più giovane, è sposata con lui da prima dell’incidente. Felipe, giovane, seduttore, poco attento alle sensibilità altrui. E Mariana, sua moglie, studiosa di musica concreta a New York. Per lei Felipe è stato il primo uomo. Ula e Felipe finiranno per diventare amanti, mentre Mariana e Alfredo stringeranno un forte legame.

“Fome de amor doveva essere diretto da un mio assistente; io mi sarei dovuto limitare a fare da supervisore. Ma alla fine il produttore non volle accettare la sceneggiatura presentata. Mi sono assunto, allora, la regia del film, con la più ampia libertà di modificare la storia. Dopo Vidas secas mi si offrivano le condizioni di poter realizzare un grande progetto… scrivere il film man mano che lo andavo girando… e l’ho fatto così, reinventandolo continuamente, fino al momento del montaggio e del doppiaggio. Mi sembra il più personale dei miei film: non è stato più quello che pensavo di fare, si è trasformato in ciò che realmente stavo provando al momento delle riprese. In Fome de amor non è fondamentale la critica, ma il suo contrario: il superamento della critica.” (Nelson Pereira dos Santos)

Joaquim Pedro de Andrade
Biografia

Joaquim Pedro, figlio di Rodrigo Mello Franco de Andrade e di D. Graciema Prates de Sá, entrambi provenienti di famiglie aristocratiche di Minas Gerais, nacque a Rio de Janeiro il 25 maggio 1932.
Il padre ha il merito di essere stato un pioniere nella tutela del patrimonio brasiliano e di aver preso parte al movimento dei “modernisti”, dando un forte impulso alla crescita della Revista do Brasil nel 1926.
Le “intimidades com as coisas do Brasil” provenivano da casa. Joaquim, infatti, ebbe il privilegio di vivere sin dall’infanzia in un ambiente familiare frequentato da illustri intellettuali fra i quali Carlos Drummond de Andrade, Oscar Niemeyer, Lúcio Costa, Vinicius de Moraes, Manuel Bandeira, Sérgio Buarque de Hollanda.
Intorno alla fine degli anni ’50 Joaquim svolse numerosi ruoli importanti, tra cui quello di critico, di ricercatore, di professore di cinema e di responsabile di una lista enorme di corsi e di seminari dove formò varie generazioni di cinefili e di professionisti del cinema.
Quel che colpisce della filmografia di questo giovane aristocratico è il suo impegno, il suo patto con la verità politica, sociale e culturale del Brasile.
La sua prima esperienza con il cinema (come aiuto regista) fu il brevissimo cortometraggio O Mendigo (1953).
Pochi anni dopo, ispirandosi alle poesie di Manuel Bandeira (padrino di cresima di Joaquim Pedro), Joaquim realizzò il suo primo cortometraggio O poeta do Castelo (1959).
Nello stesso anno Joaquim gira il suo secondo cortometraggio O Mestre de Apipucos, un omaggio al pensatore e sociologo Gilberto Freyre. Quest’ultimo occupa un posto importante nella cultura brasiliana, grazie all’opera Casa Grande & Senzala (1933), testo fondamentale per capire il Brasile meticcio.
Il film che segue è il lungometraggio Garrincha, Alegria do Povo, sul famoso calciatore Manoel dos Santos Francisco, più conosciuto come Garrincha.
La situazione, in seguito al colpo di stato e insieme alla crisi politica che vive il Brasile, spinge Joaquim, come il resto dei suoi colleghi del C.N. ed anche dei diversi ambienti artistici, a riprendere temi e valori del movimento rinnovatore del ’22, cercando di renderli attuali.

O padre e a moça
(Il prete e la ragazza)
Brasile / 1965 – 1h 30 / 35 mm / B&N / v.o.s.t.f
Regia e sceneggiatura: Joaquim Pedro de Andrade
Soggetto: dal poema di Carlos Drummond de Andrade
Fotografia: Mário Carneiro
Scenografia: Carlos Hamilton
Montaggio: Eduardo Escorel, Joaquim Pedro de Andrade
Musica: Carlos Lyra
Interpreti: Paulo José, Helena Ignéz, Fauzi Arap, Mário Lago, Rosa Sandrini, Luiz Jasmin, Lucia Pinto.
Produzione: Joaquim Pedro de Andrade, Luiz Carlos Barreto

L’arrivo di un giovane prete scuote l’atmosfera retrograda e conservatrice di un paesino di Minas Gerais. Le bigotte incominciano a parlottare e vengono a galla le miserie degli abitanti del paese. Il giovane prete e una bella fanciulla sentono una reciproca attrazione che diventa ben presto una vera, scatenata passione.

Tratto dal poema Negro Amor de Rendas Brancas del libro Lição de coisas (1962), di Carlos Drummond de Andrade.
“Ho scelto questo tema perché nella poesia di Carlos Drummond de Andrade ho trovato il problema di una persona che soffre un processo di inibizione nei suoi rapporti con un’altra persona. Il tema del film è solo una delle molte connotazioni che si trovano nella poesia. Trovo molto importante discutere il valore che hanno, dentro la vita, i rapporti che intercorrono tra le persone. I rapporti di un uomo con una donna, per esempio, o i rapporti di una persona con varie altre, di un uomo con un gruppo, di un uomo con la società. E trovo che oggi quasi tutti soffrono di un’inibizione in questi rapporti. Il prete del film è un individuo che lotta contro un’ideologia castrante, materializzata nella tonaca che indossa. Il prete della poesia è lungi dall’essere il prete del mio film: è un altro prete, un prete poderoso, uno stallone di Dio, ma nell’immagine di un prete con una ragazza c’era, per interposte figure, la materia del mio film.” (Joaquim Pedro de Andrade)

La pellicola è stata restaurata dall’Unione Latina nel 1998 in collaborazione con il Ministero della Cultura brasiliano.

Joaquim, più tardi scrive la sceneggiatura di Casa – Grande, Senzala & Cia. Quel “Cia” aggiunto da Joaquim significava l’aggiunta di altri gruppi, oltre ai bianchi e ai neri dell’opera di Gilberto Freyre: i gesuiti e gli indios in particolare. Doveva essere un film storico e doveva essere girato nel marzo del 1989, ma la morte sorprese Joaquim il 10 settembre del 1988.
Verso la fine di agosto, poco prima di morire, Joaquim propose un nuovo progetto: egli voleva realizzare (malgrado la malattia) la sceneggiatura sui sei libri di Pedro Nava.

Filmografia di Joaquim Pedro de Andrade

Cortometraggi
O Mestre de Apipucos, (c.m.) 1959
O Poeta do Castelo, (c.m.) 1960
Couro de Gato, (c.m. parte de Cinco Vezes Favela), 1962
Brasília, Contradições de Uma Cidade Nova, 1967
Improvisiert und Zielewurst (c.m.per la TV tedesca, sul C.N.), 1969
A linguagem da Persuasão, (c.m) 1972
O Alejadinho, (c.m) 1981

Lungometraggi
Garrincha, Alegria do Povo, 1963
O Padre e a Moça, 1966
Macunaíma, 1970
Guerra Conjugal, 1977
Vereda Tropical, 1978
O Homem do Pau Brasil, 1987

Glauber Rocha:
Biografia
Tracciare un suo profilo comporta, com’è ovvio, dei rischi, confusioni oppure oblii involontari perché la sua opera giornalistica e critica è una selva in cui si rischia lo smarrimento. Nella sua breve ma intensa vita, egli realizzò quindici film: otto lungometraggi, sette cortometraggi ed inoltre scrisse i saggi Revisão Crítica do Cinema Brasileiro (1963), Revolução do Cinema novo (1981), i manifesti Estética da fome (1965), Estética do sonho (1971), il romanzo rapsodico Riverão Sussuarana(1978), un’infinità di articoli giornalistici, interviste ed infine diversi programmi televisivi.

La sua storia artistica risale agli anni scolastici, quando fu scoperto da uno dei suoi professori: la sua forte personalità e la sua vocazione all’arte emerse in occasione della sua prima presentazione teatrale, “El hilito de oro”. Ancora quindicenne, insieme ad alcuni amici di scuola, fonda il gruppo “Joglaresca”. Si tratta di un insieme di atti teatrali di chiara influenza bretchtiana, che consisteva nella recitazione di poesie brasiliane.
A soli sedici anni Glauber tenta di montare la piéce di Cocteau, Les Parentes Terribles ed anche Huis Clos, di Paul Sartre, ma non ottiene le condizioni necessarie per la messa in scena. Tra l’altro il capo del centro CEPA, “Centro di Studi Pensiero e Azione”, dove fu chiamato Rocha, era niente meno che l’Aguilha Branca (titolo dato ai giovani fascisti) Plínio Salgado che, insieme a Germano Machado, presidente del CEPA, erano anticomunisti.
D’allora in poi in Glauber l’interesse per lo spettacolo andrà di pari passo con l’impegno politico. Difatti il suo primo approccio (al di là di quello con la scuola elementare) con l’arte è il teatro, che si consoliderà con la fondazione del gruppo teatrale “Mapa”, dedicato soprattutto all’arte brasiliana: letteratura, poesie e arti figurative. È a questo periodo che risale il suo accostamento alla critica cinematografica. Egli scrive per O Momento, rivista del Partito Comunista. Alla chiusura di quest’ultima, Glauber passò ad un altro settimanale, 7 Dias. Da allora in poi il nostro giovane regista si dedicherà alla critica cinematografica, al giornalismo, e alla politica.
Difatti, l’interesse per una politica che trasformi concretamente la situazione brasiliana è un tema che Glauber avrà modo di manifestare quando sarà direttore della rivista Angulos, e quando in seguito diverrà il responsabile della cronaca al Jornal de Bahia.
Abbiamo accennato soltanto agli aspetti più rilevanti del mondo giornalistico glauberiano per sottolineare che tutto il lavoro che ebbe iniziò nella sua adolescenza, farà di lui un giornalista con molta esperienza e con una profonda conoscenza del Nordeste.
Il film che colpì il giovane conquistense, nel 1953, fu Raíces diretto da Benito Alazraki (Messico). Fu allora che Rocha cominciò a scrivere come critico e valutò la possibilità di realizzare un progetto cinematografico per l’America Latina. Il suo primo ciak risale al 1958 quando gira O Pátio e, nel 1959 A Cruz na Praça, entrambi cortometraggi dei quali non ci occuperemo perché hanno un contenuto che non rientra nel C.N.
Vanno anche ricordati i film mancati che Glauber avrebbe voluto realizzare: (le sceneggiature erano già pronte) América Nuestra (dalla quale prese alcuni spunti per Terra en Transe), O Nascimento dos Deuses (per la RAI), A Invasão Holandesa, ed altri copioni che conserva il “Tempo Glauber”, sotto lo sguardo geloso di D. Lúcia, madre di Glauber Rocha.

Dei film di Glauber non si può fare soltanto una critica estetica se questa non va collegata con l’aspetto politico. Dall’altra parte Glauber è un personaggio polemico e in continua metamorfosi: appena lo si eticchetta con un aggettivo, lui ha già assunto una posizione opposta.
Tra le opere che Glauber lasciò incompiute possiamo citare il documentario che stava facendo su Vinicius de Moraes, lavoro che Glauber interruppe verso la metà del film. Il documentario fu poi portato a termine da un altro cinemanovista, David Neves.
Per concludere la biografia di questo grande regista aggiungiamo che, secondo molti (tra cui Nelson Pereira dos Santos), tutti i registi venuti dopo Glauber gli sono debitori. Purtroppo Glauber morì a soli quarantuno anni, il 21 agosto 1981, a Rio de Janeiro. La morte di Glauber diede luogo, come accadeva quando egli era in vita, polemiche di vario genere: sua madre, ad esempio, ogni qualvolta le domandavano di che cosa morì Glauber, lei rispondeva (lo ripete tuttora): “Glauber morì di Brasile”. Noi, considerando che la sua opera è ancora viva e ricordando una frase dello scrittore mineiro Guimarães Rosa a Rocha, possiamo affermare che, “Glauber non morì, rimase incantato…”
Deus e o Diabo na Terra do Sol
Il successo inaspettato per Glauber e per il CN arriva con Deus e o Diabo. Questo film, che partecipò al concorso nel Festival di Porreta Termi è la pietra miliare del cinema in toto. Il film fu girato nel sertão di Vitória da Conquista. Nella trattazione di Deus e o Diabo, bisogna partire dal presupposto che il film non è altro che la divorazione di vari testi ed episodi storici. Innanzittutto, seguendo un’ordine cronologico, sappiamo che Rocha si rifà alla Guerra de Canudos, scritta da Euclides da Cunha nel testo Os Sertões, quindi parte da un testo del pre-modernista. Nel caso del testo Os Sertões, la cinepresa riprende scene e paesaggi che costituiranno il tòpos dell’universo glauberiano classico: la Sed- Town . In un lungo piano vediamo Antônio Conselheiro, rappresentato da Sebastião, che predica richiamando alla fede e al sacrificio per guadagnare il paradiso che verrà, appunto, il giorno in cui il sertão vai virar mar e o mar vai virar sertão. Ancor più chiara è la parte relativa al III Capitolo di Os Sertões dedicato a A Luta. Rocha si accosta alla narrazione dell’incontro-scontro di un popolo alienato dalla fede religiosa con la sua vera faccia sublime ma atroce, violenta e bella allo stesso tempo. Come avremo modo di vedere, molti dei suoi personaggi sono esistiti: Sebastião rappresenta Antonio Conselheiro e Corisco, anche lui esistito, aveva tagliato la testa del Colonnello Rufino. Il vaccaro Manuel rappresenta tutti i vaccari e tutti i contadini, eternamente sfruttati, travolti dall’inesistenza dei loro diritti.
La preoccupazione principale di Rocha è quella di sdrammatizzare gli aspetti diversi (ma paradossalmente simili) della stessa identità del popolo brasiliano. Ma anche quella di mostrare la necessità di raggiungere un’identità coerente, autentica, senza compromettere i valori culturali della società del litorale né di quella dell’interno. Inoltre il nostro regista si accosta all’elemento mitico/mistico con l’obiettivo di rovesciare i valori della religione, possiamo affermare questo concetto nella frase finale del film:

“A terra è do homem, não é de Deus nem do diabo (…) o que existe é o homem humano”.

L’analisi storica del Brasile, è quella della Guerra de Canudos, è quella di qualsiasi paese sottosviluppato. Per quanto riguarda José Lins do Rego, possiamo riscontrare elementi intertestuali referenti a Pedra Bonita: la sequenza relativa all’uccisione della creatura da parte dei fanatici beatos per propiziarsi la benedizione divina. Infine, si può notare l’intersezione del testo Os Cangaceiros nei bandidos (argomento che abbiamo già visto nel III capitolo) di Deus e o Diabo, che si ripropone in quello di Antônio das Mortes. Il testo, che rende il film più barocco e che influì sul nostro regista, è senza dubbio Grande Sertão: Veredas, dello scrittore João Guimarães Rosa.
Si può “leggere” Deus e o Diabo, come la metafora dei conflitti intimi della società brasiliana. Glauber ci presenta il cangaceiro assumendo una posizione politica. Glauber, attraverso la sua narrativa cinematografica, vuole arrivare all’inconscio collettivo. Questo film raggiunse un livello poetico grazie ad una miscela musicale rappresentata dalla musica classica, come le Bachianas N° 9 di Villa Lobos e dalla cultura popolare, ossia la letteratura de “Cordel” in bocca del cantastorie che, nel film, è un cieco (così come in molti testi regionalisti). Glauber disse che spesso i cantores delle ballate, tramandate oralmente di generazione in generazione.
La letteratura de Cordel nei film glauberiani sono presenti oltre che in Deus e o Diabo, in O Dragaão e O Leão das sete cabeças. Ciò che colpisce lo spettatore è il ritmo della letteratura di “Cordel” con il montaggio e con i dialoghi. Queste scelte parlano da sé, la volontà di Glauber di mantenere il contatto con le origini più autentiche della cultura brasiliana. Glauber utilizza anche il testo Invenção de Orfeu di Jorge de Lima (quando parla Sebastião): “Tu queres a ilha: despe-te das coisas, das excrecências, tira de teus olhos as vidraças e os véus, sapatos de téus pés, e roupas, calos, botões, e também as faces que se colam à tua, os braços alheios que te abraçam e querem ir por ti,e as moças que querem te esposar… e as aventuras que não dormem”. Deus e o Diabo è la traduzione della sua Estética da Fome (scritta due anni dopo del film) nei protagonisti: dalla fame nasce la violenza e la ribellione. Ma per arrivare alla ribellione si dovrà fare tutto un percorso. Ad esempio Manuel (il vaccaro ha paura), Manuel il Beato (ha paura), Manuel Corisco (battezzato come Satanás) ha paura e non solo: è un personaggio senza volontà, senza criterio, senza nessuna responsabilità, e qui (dove/e a chi) il grido di Glauber vuole arrivare. A questo proposito, riguardando velocemente i protagonisti dei suoi film, Glauber li presenta dando loro forza, coraggio, capacità e coerenza.

Per esempio Rosa (Deus e o Diabo), dall’inizio del film capisce che, seguendo Sebastião, la sua vita e quella di suo marito non migliorerà. È lei che dinanzi all’uccisione della creatura (in quel momento capisce che anche lei deve essere sacrificata), uccide Sebastião. Ciò che colpisce è la sua decisione, il suo non credere ai miracoli, lì dove il marito non è in grado di prendere una posizione autonoma e razionale. Nell’opera glauberiana l’intersezione tra la realtà e l’immaginazione, tra il sogno e la storia coesistono sin dall’inizio alla fine del film: è una ricerca sociologica e psicologica del Nordeste.
Per quanto riguarda l’influenza di Jorge Amado sull’opera di Glauber Rocha, è rilevante l’intertestualità amadiana. In questo film gli elementi che troviamo nelle opere di Amado sono i riti, la religione, la galleria di affamati, la letteratura di “Cordel”, i retirantes, insomma l’aspetto sociale. La fame e la miseria di quella fascia di povertà atroce che, soprattutto denunciato da Amado e trasposto al Cinema da Glauber, fecero conoscere il carattere del contadino dei nordestini sottomessi dal padrone e nel contempo pronto a esplodere.

Filmografia:

O PATIO – cortometraggio – 1958
A CRUZ NA PRAÇA – cortometraggio – 1959
BARRAVENTO – 1962
DEUS E O DIABO NA TERRA DO SOL (Il dio nero ed il diavolo biondo) – 1964
AMAZONAS, AMAZONAS – cortometraggio – 1965
MARANHAO ’66 – cortometraggio – 1966
TERRA EM TRANSE – 1967
O DRAGAO DA MALDADE CONTRA O SANTO GUERREIRO (Antõnio das mortes) – 1968
DER LEONE HAVE SEPT CABEÇAS (Il leone a sette teste) – 1970
CABEÇAS CORTADAS – 1971
O CANCER – 1972 (girato nel 1968, montato nel 1972 e trasmesso dalla Rai nel 1974)
HISTORIA DO BRASIL – 1973
CLARO – 1975
DI CAVALCANTI – cortometraggio – 1977
JORGE AMADO NO CINEMA – mediometraggio – 1979
A IDADE DA TERRA – lungometraggio – 1980

Gianni Amico organizzatore culturale
di Bruno Torri
Gianni Amico è conosciuto – ma non quanto meriterebbe- come regista cinematografico; di lui si può anche conoscere, o meglio, si può intuire attraverso i suoi film e telefilm quali siano stati i suoi grandi amori (oltre al cinema, la musica e il Brasile); mentre quasi misconosciuta è la sua attività come organizzatore culturale, un’attività che è stata, in un certo senso, propedeutica a quella creativa, e che, inoltre, mette bene in luce il suo pensiero e il suo impegno ideologico-politico. Il suo esordio nel cinema e nella vita pubblica si manifesta, infatti, nel campo dell’organizzazione culturale, nel giugno del 1960, come direttore della Rassegna Internazionale del Cinema Latinoamericano, un’iniziativa da lui stesso ideata l’anno precedente quando ancora non aveva compiuto 26 anni ed era, nell’ambito del Colombianum- un’istituzione culturale genovese presieduta dal gesuita Angelo Arpa-, al suo primo lavoro.

Con intelligenza pari alla precocità, Gianni seppe progettare e realizzare una manifestazione allora assolutamente originale, sia per la finalità che perseguiva, sia per il modo d’attuazione. L’idea basilare che sosteneva la Rassegna era tanto semplice quanto feconda: far conoscere in Italia, e anche in Europa, la cultura cinematografica latinoamericana, vale a dire rovesciare il classico schema, eurocentrista e colonialista, che comportava l’esportazione-imposizione nei paesi del “Terzo Mondo” delle culture egemoni, quelle dei paesi occidentali più industrializzati. La rassegna intendeva anche porsi come uno spazio per il confronto e il dibattito tra cineasti (e critici) europei e cineasti (e critici) latinoamericani, dando anche la possibilità a questi ultimi di avvicinarsi e discutere tra loro, cosa che o non accadeva o si verificava molto sporadicamente, e tra molte difficoltà, all’interno del subcontinente americano. Nel corso di cinque edizioni, sempre con la direzione di Gianni, e grazie anche alla favorevole congiuntura che caratterizzò in quel periodo alcune cinematografie latinoamericane (quella brasiliana in primo luogo), si poterono vedere i film migliori dei migliori registi latinoamericani (da Glauber Rocha a Nelson Pereira dos Santos, da Leopoldo Torres Nilsson a Joaquim Pedro de Andrade, da Paulo Cezar Saraceni a Tomás Gutiérrez Alea ed altri ancora); e, insieme, si prese coscienza dei tanti problemi (politici, economici, sociali, organizzativi…), che i cineasti dei paesi sottosviluppati erano costretti ad affrontare per riuscire a fondere arte e ideologia, per contribuire con le loro opere e con la loro militanza a decondizionare, a decolonizzare culturalmente, il pubblico dei rispettivi paesi e dell’intero subcontinente. In quegli anni, a Santa Margherita Ligure, a Sestri Levante e a Genova le tre sedi dove si svolsero le cinque edizioni della rassegna- furono (fummo) in molti ad imparare qualcosa che in seguito è stato riproposto o utilizzato per cercare di ricoprire al meglio i più diversi ruoli (cineasta, critico, organizzatore culturale): e questo si deve soprattutto a Gianni. Il quale seppe fare, anche lui, tesoro delle esperienze acquistate in quelle occasioni, riversandole poi nella sua pratica artistica.
Trasferitosi a Roma, Gianni continuò un breve periodo a operare come organizzatore culturale collaborando con la Mostra Internazionale del Cinema Libero di Porreta Terme (sua, nel 1964, la cura di una selezione monografica dedicata alla Nouvelle Vague) e con la Mostra Internzionale del Nuovo Cinema di Pesaro (della cui Commissione di selezione fece parte nelle edizioni 1966-1967), per poi dedicarsi esclusivamente alla creazione cinematografica, che già aveva intrapeso come sceneggiatore (collaborando al film di Bernardo Bertolucci Prima della Rivoluzione), proseguirla come documentarista (la sua prima regia è quella di Noi insistiamo, un cortometraggio sul jazz) e poi come regista di film a soggetto, di film per la televisione e di sceneggiati, senza tralasciare il ritorno, sia pure saltuario, all’attività di sceneggiatore per collaborare con altri due importantissimi autori, due nomi tra i più rappresentativi del “nuovo cinema” nato agli inizi degli anni ’60: Jean Luc Godard (Vent d’Est, Vento dell’Este) e Glauber Rocha (Der Leone Have Sept Cabeças, Il leone a sette teste).

Tropici
Italia / 1968 – 88 min. / 35mm / B&N

Regia: Gianni Amico
Soggetto e sceneggiatura:Gianni Amico, Francesco Tullio Altan, Giorgio Pelloni
Fotografia: Giorgio Pelloni, José Antonio Ventura
Montaggio: Roberto Perpignani
Aiuto regia: Rui Polonah
Suono: Gianni Amico, Francesco Tullio Altan
Interpreti e personaggi: Joel Barcelos (Miguel), Janira Santiago (Maria), Antonio Pitanga (il mulatto), Graciete Campos (Graciete), Batista Campos (Batista).
Produzione: Gianni Barcelloni Corte per B.B.G.

«Il viaggio, a piedi e in camion, dal Nordeste del Brasile fino a Recife, sull’Atlantico, e poi a São Paulo di una famiglia di salariati agricoli, composta da padre, madre e due piccoli figli, alla disperata ricerca di lavoro. È la storia di un gruppo di persone che passano dalla schiavitù al capitalismo internazionale» (Gianni Amico).
Io Gianni l’ho visto così
Italia / 2002 – Betacam, 90′ ca., col.

Selezione e cura del materiale: Olmo Amico, Stefano Francia di Celle, Fiorella Giovanelli Amico.

Interviste, tributi, segmenti editi e momenti inediti del cinema di Gianni Amico. Intervengono Giorgio Baratta, Joel Barcelos, Bernardo Bertolucci, Paolo Brunatto, Arnaldo Carrillho, Gustavo Dahl, Enrico Ghezzi, Gilberto Gil, Fiorella Giovanelli, Veronica Lazar, Ana Maria Magalhaes, Marco Melani, Jean Narboni, Roberto Perpignani, Lucia Rocha, Paulo Cezar Saraceni, Enzo Ungari, and Caetano Veloso. Vi è anche una selezione di numerosi episodi del programma televisivo Fuori Orario dedicati a Gianni Amico (con la supervisione di Enrico Ghezzi, Marco Melani, Ciro Giorgini e Marco Giusti, tra gli altri).

Leon Hirszman
Nacque a Rio de Janeiro nel 1937. Hirszman ebbe il suo primo contatto con il cinema nel cineclub mentre studiava ingegneria: di lì in poco tempo diventerà un grande animatore di esse.
Il suo primo largometraggio a soggetto è A Falecida che si basa su un’opera di Nelson Rodrigues. La produzione letteraria di questo drammaturgo scandalizzava rittratare diretta, cruda e agressivamente l’ipocresia e i conflitti della borghesia e della classe media urbana tipica, angosciata per i problemi materiali e per l’incertezze esistenziali.
Nel 1972 realizza São Bernardo film tratto dell’omonimo romanzo di Graciliano Ramos, film che fu sabotato per la cultura, che esigeva diversi tagli. Il film restò senza essere proiettato per molti anni; con esso si provocò il fallimento della ditta che lo aveva prodotto, la Saga Film. Hirzman, abbattuto, rimase senza realizzare nessun largometraggio per più di dieci anni. Infatti, questo fatto sommato alla sua malattia ancora poco conosciuta (AIDS), interruppero la sua carriera che sarebbe potuta essere più proficua.
Con la “Trilogia do Incosciente”, Hirszman rende omaggio alla psichiatra Nise da Silveira, i film sono Busca do Espaço Cotidiano, No Reino das Mães e A Barca do Sul. Maioria Absoluta viene proiettato a Genova al Festival del ’65 grazie al Padre Arpa.
Hirszman morì senza aver realizzato, tra tanti sogni, quello di girare due film i cui argomenti erano davvero importanti.
Il primo si trattava dei minatori della città bianca di Criciúma: il lavoro provoca nei lavoratori una malattia polmonare e contagiosa; quando questo non è più in grado di continuare a lavorare lo inviano alla superficie in modo tale che “possa” cercare un’altro lavoro che ovviamente non c’è; quindi questo non ha più rimedio che ritornare alla miniera ed aspettare la morte.
L’altro argomento caro a Hirszman si riferiva alle alghe in decomposizione che si trovano nel fondo di alcuni pantani dell’Amazonas; dette alghe sono ricercatissime dai laboratori noordamericani; non tutti gli uomini che la cercano escono a galla, spesso quelli che ritornano sono assaliti dai banditi. In questa regione dove la disocupazione è grande ci sono sempre i volontari al mergulho.

Filmografia
Cortometraggi
Pedreira de São Diogo, (sketch di Cinco Vezes favela) 1962
Psst ou Ligou Ligado, (sketch del film América do Sexo) 1969
Ecologia, 1973
Cantos do Trabalho no Campo: Cacáu, 1978
Cantos do Trabalho no Campo: Cana de Açúcar, 1978
Partido Alto, 1982

Largometraggi
Maioria Absoluta, (m.m.) 1964
A Falecida, 1965
Garota de Ipanema, 1967
São Bernardo, 1972
Qué Pais é Esse?, (per la RAI) 1977
ABC da Greve, 1979
Eles Não Usam Black Tie, 1981
Imagens do Inconsciente, 1987

A grande cidade
(La grande città)
Brasile / 1966
80 min. / 35mm / B&N / v.o.

Regia e sceneggiatura: Carlos Diegues.
Soggetto: Carlos Diegues, Leopoldo Serran.
Fotografia: Fernando Duarte, Dib Lufti.
Montaggio: Gustavo DahI.
Musica e canzoni: Zé Kéti e brani da Villa-Lobos, Heckel Tavares, Ernesto Nazareth.
Interpreti e personaggi: Leonardo Villar (Jasão), Anecy Rocha (Luzia), Antonio “Pitanga”, Sampaio (Calunga), Joel Barcellos (Inácio), Hugo Carvana, Maria Lucia Dahi.
Produzione: Mapa Filmes, Carlos Diegues, Glauber Rocha, Zelito Viana.

Lúcia giunge a Rio sperando di poter fare una nuova vita. Spera di trovare Jasão, il suo fidanzato, ex vaccaro che come lei ha lasciato il Nordeste. Ma Jasão, una volta trovato, farà finta di non conoscerla e Luzia, sola, è costretta ad accettare la protezione di Calunga, un fannulIone senza scrupoli in cerca di facili avventure. Calunga, così, dopo un po’ la lascia nelle mani di Inácio, un nordestino onesto e leale. A questo punto torna Jasão, che le dice di essere diventato un bandito ricercato dalla polizia e di amarla ancora. Fugge senza di lei, ma promette che si ritroveranno. Qualche mese più tardi Lúcia legge le notizie delle imprese banditesche di Jasão sui giornali. Inácio le chiede di sposarlo e di andare a vivere con lui nel Nordeste. Ma Lúcia è fedele a Jasão. Calunga le porta sue notizie. Jasão la aspetta quella sera stessa alla stazione del traghetto. Inácio rivela alla polizia il luogo dell’appuntamento. Inutilmente Calunga cercherà di salvare Lúcia, che vuole lo stesso dividere la fine della sua vita con Jasão.
“C’è in A grande cidade qualche cosa come un’indignazione lirica, una rabbia rimata del genere della letteratura di strada del Nordeste, un tono di opera popolare che viene tanto da Glauber (attraverso Deus e o Diabo) come da Luchino Visconti (attraverso Rocco e i suoi fratelli).” (Alex Viany)
Memória de Helena
Brasile / 1969 – 81 min. / 35mm / Colore/B&N, / v.o.
Regia: David Neves
Montaggio: Sales Gomes
Fotografia: David Drew Zingg
Interpreti : Rosa Maria Penna, Adriana Prieto, Arduino Colasanti, Humberto Mauro.
Due ragazze — Rosa ed Elena — crescono insieme in una cittadina a Minas Gerais. La loro storia è segnata da film amatoriali che Rosa gira e mostra in seguito al fidanzato a Rio. Questi film forniscono un obiettivo quadro dell’accogliente ma ristretto mondo di Elena (popolato di gatti, un profondo attaccamento a Rosa, la sua tata fedele, ecc.) che si scontra con un ricco e viziato giovane che la prende e poi la lascia. Le due ragazze sono caratterizzate molto bene, la fotografia è ottima, il film in sé è di qualità. (Michael Webb, AFI)
“Memória de Helena è prima di tutto una esplorazione della mente di una donna… Elena è un personaggio complesso e affascinante, parzialmente libera, ma parzialmente vittima di un’innocenza romantica. È la storia di una profonda amicizia tra due donne, che ricorda il film Persona di Bergman”. (Steve Mamber, Filmex ’71)

Os fuzis – (I fucili)
Brasile / 1963 -1 h 25 / 35mm / B&N / v.o.s.ingl.

Regia: Ruy Guerra.
Sceneggiatura e soggetto: Miguel Torres, Ruy Guerra.
Fotografia: Ricardo Aronovich.
Scenografia: Calazans Neto.
Montaggio: Ruy Guerra, Raimundo Higino.
Musica: Moacir Santos.
Interpreti e personaggi: Atila Iório (Gaucho), Nelson Xavier, Maria Gladys, Leonidas Bayer, Ivan Candido, Paulo Cesar Pereio, Hugo Carvana, Maurício Loyola, Ruy Polanah, Joel Barcellos.
Produzione: Copacabana Filmes, Herbert Richers, Jarbas Barbosa.

Guerra rivoluziona il Cinema Novo con Os Fuzis. In questo film il regista prende diversi spunti di Os Sertões: precisamente dai capitoli l’Uomo e la Terra. Gran parte dell’intreccio viene accompagnato da frasi mistiche pronunciate da Antônio Conselheiro, per esempio: “Então o sertão vai virar mar, e o mar vai virar sertão”; inoltre le preghiere, la letteratura di Cordel (quella dei cantastorie), e la voce fuori campo che si ripete più volte nel film, sono riconducibili al personaggio Antônio Conselheiro.
Os Fuzis (film nettamente politico) segue uno dei principi di Ejzenstejn: le masse popolari costituiscono i protagonisti. Nel suo insieme, il film si snoda lungo il filo della tensione dialettica tra il potere e il popolo, tra la politica e la religione. Guerra mette in discussione la religione sin dalle prime inquadrature. Infatti, mentre una voce in over prega Dio, si sente un richiamo alla giustizia sociale, che poi viene seguito da un’imprecazione. In seguito, la cinepresa gira intorno ad un Bói Sagrado al quale pregano i sertanejos perché cada la pioggia.
Le successive sequenze girano intorno ad un gruppo di soldati inviati nel sertão (Milagres) dall’esercito del litorale. L’impostazione (simbolica) è la stessa di Euclides:

l’esercito (le armi) e il camion = tecnologia = civiltà;
i contadini, la fame e la religione alienata = barbarie.

L’obiettivo dei soldati è quello di proteggere le provviste di un fazendeiro arrivato a Milagres, i cui abitanti sono stati colpiti della siccità. L’episodio seguente è quello che vede protagonista l’ex militare, che in quel momento lavora facendo il camionista. Egli è l’unico che, pur essendo estraneo alla vicenda, cerca di fare da “ponte” tra le due culture (tra i due Brasis, come diceva Euclides). Il camionista conosce gli effetti del tempo do medo in quel sertão (passa sempre da quelle parti) perciò cerca di convincere i camponeses a ribellarsi; la risposta si risolve in scene di fanatismo.
I contadini, infatti, forti della loro fede, restano in “attesa” che il Bezerro Sagrado mandi l’ambita pioggia. L’intreccio si chiude con l’uccisione dell’ex militare (che, scioccato dalla passività del paesino e poi nel veder un bambino morto per denutrizione, cerca di risolvere il problema della fame altrui a modo suo), con il sacrificio del Vitello. Il problema vero e proprio che causa la fame, ossia l’arretratezza, non viene però risolto, anzi, non viene proposta alcuna soluzione al problema. Comunque, resta rilevante il fatto che Guerra abbia avuto il coraggio di mostrare quell’altro Brasile: il Brasile contadino ed abbandonato (da un governo indifferente) al proprio destino. Con Os Fuzis Rui Guerra vinse L’Orso d’Argento a Berlino nel 1964, ma in Brasile il film divise la critica e non fu ben accolto da gran parte del pubblico.

Porto das Caixas
Brasile / 1963 – 35mm / 76 min. / B&N / v.o.
Regia: Paulo César Saraceni
Sceneggiatura: Paulo César Saraceni, Lúcio Cardoso
Fotografia: Mário Carneiro
Scenografia: José Henrique Bello
Montaggio: Nelo Melli
Musica: Antonio Carlos Jobim
Interpreti e personaggi: Irma Alvarez (la donna), Reginaldo Faria (l’amante), Paulo Padilha (il marito), Sergio Sanz (il soldato), Josef Guerreiro (il barbiere), MargariTa Rey
(donna che vende le armi), José Henrique Bello.
Produzione: Equipe Produtora Cinematográfica, Elísio de Sousa Freitas.

Tratto da un fatto reale avvenuto a Rio de Janeiro negli anni ’50. Una donna vuole uccidere il marito per liberarsi di una vita impossibile. Ha bisogno di un complice. Dopo aver cercato di attirare un soldato, seduce il proprietario di un locale sperando che l’amore gli possa dare la forza di uccidere. Dopo l’omicidio, però, la donna è in preda a una forte crisi.

“In Porto das Caixas volevo fare un film che avesse due componenti principali: dare un’importanza fondamentale al personaggio della donna e rappresentare nella donna, in qualche maniera, ciò che è un paese abbandonato. Cioè volevo che tutto il contenuto sociale che faceva parte delle radici stesse del Cinema Nôvo nascesse non da una situazione sociale astratta, bensì da personaggi nei quali il pubblico potesse percepire una serie di problemi umani e sociali esistenti in Brasile. E anche la totale indifferenza dei politici di professione verso i problemi del popolo, interamente sottomesso mentre loro evitavano di fare la riforma agraria e si perdevano nella demagogia. Persone incapaci di capire. C’era una critica anche al popolo, critica che Glauber riprese in Terra em transe, alla sua manifesta impotenza di uscire da una situazione data, di ribellarsi. In Porto das Caixas è il personaggio della donna a liberarsi della sua situazione uccidendo il marito, che rappresenta per lei tutto un mondo contratto incapace di agire.” (Paulo César Saraceni)

Memórias de Helena
Brasile / 1969 – 81 min. / 35mm / Colore/B&N, / v.o.

Regia: David Neves
Montaggio: Sales Gomes
Fotografia: David Drew Zingg
Interpreti : Rosa Maria Penna, Adriana Prieto, Arduino Colasanti,
Humberto Mauro
Due ragazze — Rosa ed Elena — crescono insieme in una cittadina a Minas Gerais. La loro storia è segnata da film amatoriali che Rosa gira e mostra in seguito al fidanzato a Rio. Questi film forniscono un obiettivo quadro dell’accogliente ma ristretto mondo di Elena (popolato di gatti, un profondo attaccamento a Rosa, la sua tata fedele, ecc.) che si scontra con un ricco e viziato giovane che la prende e poi la lascia. Le due ragazze sono caratterizzate molto bene, la fotografia è ottima, il film in sé è di qualità. (Michael Webb, AFI)
“Memórias de Helena è prima di tutto una esplorazione della mente di una donna… Elena è un personaggio complesso e affascinante, parzialmente libera, ma parzialmente vittima di un’innocenza romantica. È la storia di una profonda amicizia tra due donne, che ricorda il film Persona di Bergman”. (Steve Mamber, Filmex ’71)

Cinco vezes favela
Brasile / 1962 – 92 min. / B&N / v.o.

Cinque episodi ambientati nelle favelas di Rio: Um favelado di Marco s Faria, Zé da Cachorra di Miguel Borges, Escola de Samba Alegria de Viver di Carlos Diegues, Couro de Gato di Joaquim Pedro de Andrade e Pedreira de São Diogo di Leon Hirszman.
Pedreira de São Diogo: I lavoratori di una “pedreira” fanno una marcia per impedire una esplosione che potrebbe distruggere le loro casupole. Regia: Leon Hirszman