Omaggio a José María Arguedas

L’Associazione Culturale Nuovi Orizzonti Latini in collaborazione con i Musei Capitolini del Comune di Roma invita a celebrare l’omaggio allo scrittore José María Arguedas nel Primo Centenario della nascita (18 gennaio 2011): da venerdì 21 gennaio fino a sabato 26 febbraio al Museo Luigi Pigorini, viale Lincoln 1, sarà allestita una mostra fotografica dedicata al maestro Arguedas, ai gruppi etnici del Perù, Ecuador, Bolivia e Venezuela. La sezione dedicata al Cinema tratto dalle opere letterarie dello scrittore peruviano sarà organizzata presso l’Auditorio dell’INMP Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e il contrasto delle malattie della Povertà (V. San Gallicano, 25 – Trastevere).

José María Arguedas è nato a Andahuaylas (Perù) il 18 gennaio 1911, nel cuore della zona andina più povera e dimenticata dal Paese.
Scrittore e antropologo peruviano. Il suo lavoro come romanziere, come traduttore e diffusore della letteratura quechua, e come antropologo ed etnologo, hanno fatto di lui una delle figure chiavi tra coloro che hanno cercato, nel secolo XX, di incorporare la cultura indigena alla grande corrente della letteratura peruviana scritta in spagnolo. Arguedas sin da bambino è entrato in contatto con gli ambienti e personaggi che che poi sarebbero diventati fondamentali nelle sue opere. La morte di sua madre e le frequenti assenze di suo padre avvocato, lo obbligarono a cercare rifugio tra i servitori e i contadini indigeni della zona, la cui lingua, credo e valori acquisì come propri. Come studente universitario a San Marcos, iniziò il suo difficile compito di adattarsi alla vita di Lima senza rinunciare alla sua tradizione indigena, vivendo in prima persona l’esperienza di ogni trapiantato andino costretto ad assimilare un altro ritmo di vita.
La questione fondamentale che propongono le sue opere, è quella di un paese diviso tra due culture – quella andina di origine quechua e quella urbana di radici europee – che devono integrarsi in una relazione armonica di carattere meticcio.
Nei primi tre racconti della prima edizione di Acqua (1935), nella sua prima novela Yawar Fiesta (1941) e nella raccolta di Diamantes y Pedernales (1954), si apprezza lo sforzo dell’autore per offrire una versione  più autentica possibile della vita andina da una prospettiva interiorizzata e senza i convenzionalismi  della anteriore letteratura indigena. In quelle opere Arguedas rivendica la validità del essere indigeno, senza cadere in un razzismo alla rovescia. L’opera matura di Arguedas comprende almeno tre romanzi: I fiumi profondi (1956), Tutte le stirpi (1964) e La volpe di sopra e la volpe di sotto (1971); l’ultima è il romanzo-diario troncato dalla sua morte.
In “Tutte le stirpi”, presentando le principali forze che lottano tra di sé per sopravvivere o imporsi, raccoglie, in un racconto sulla distruzione dell’universo, le prime avvisaglie della costruzione di una nuova identità meticcia. Altri racconti come Il sesto (1961), L’agonia di Rasu Ñiti (1962) e Amore mondo (1967) completano questa visione.
Il processo di adattamento alla vita di Lima non fu mai completato da Arguedas. I traumi verificatisi nella infanzia lo debilitarono psichicamente rendendo ardua la lotta che si era proposto, non solo sul piano culturale ma anche su quello politico. Questi aspetti insieme all’acuta crisi nazionale che il paese cominciò a soffrire a partire del 1968 lo spinsero al suicidio. Muore dopo lenta agonia il 2 dicembre 1969, evento che ha contribuito a convertirlo in una figura mitica per  molti intellettuali e per  movimenti impegnati nello stesso compito politico.

Ringraziamo le foto che ci hanno gentilmente inviati: Sybilla Arredondo, Carolina Teiller, César Lévano e Juan Damonte.  Mostra fotografica a Roma conclude il 26 febbraio, prosegue in altre città.

Per chi non ha potuto venire al concerto del maestro Shin Sasakubo, vi consigliamo di clickare qui: http://www.youtube.com/watch?v=NLetwPIabq4