Per commemorare i 79 anniversario della morte di César Vallejo (Santiago de Chuco, Perù, 16 marzo 1892, Parigi, 15 aprile 1938) vi prponiamo l’articolo di Alessandro Baricco: Archivio General de Indias: Vallejo.
«Tornando dalle Indie, mi son portato via un poeta. Proprio non avevo mai sentito quel nome, e adesso invece so che lui si chiamava César Vallejo, ed è considerato da tutti il più grande poeta andino di sempre, e da alcuni il più grande poeta sudamericano di sempre»
Tornando dalle Indie, mi son portato via un poeta. Be’, non lui, fisicamente: le sue poesie. Non le conoscevo, non potrei dire di conoscerle neanche adesso, non si conosce mai una poesia, davvero, mi sa. Però proprio non avevo mai sentito quel nome, e adesso invece so che lui si chiamava César Vallejo, ed è considerato da tutti il più grande poeta andino di sempre, e da alcuni il più grande poeta sudamericano di sempre. È incredibile quali sacche di ignoranza uno si può portare dietro, per anni.
Di lui, mentre stavo a collezionare stupori andini, mi hanno fulminato, dapprima, tre cose. Un suo ritratto fotografico, in bianco e nero: lui elegante, bellissimo, il volto scolpito nella pietra, la mano a reggere il mento, gli occhi spariti in una fronte enorme, i capelli lucidi all’indietro: solitario y final, ma non triste: forte, piuttosto. Eterno, mi verrebbe da dire.
Poi un verso, incontrato un po’ per caso. «Hasta cuándo estaremos esperando lo que no se nos debe».
Poi due versi, quelli già un po’ cercati: «Me moriré en París con aguacero, / un día del cual tengo ya el recuerdo».
In effetti morì a Parigi, nel 1938. Viveva lì dal ’23, esule per una certa vicenda giudiziaria che lo inseguiva in patria. Era nato nel 1892, in una famiglia poverissima, in un pueblo andino, nel nord del Perú. È sepolto nel cimitero di Montmartre.
Quel che puoi fare, con un poeta, per stare con lui, è tradurlo.
Molto difficile, con Vallejo, che la sua lingua spesso la inventa, sovente la tortura, e mirabilmente la fa ballare.
Comunque, si può sempre provare.
Sono nato un giorno
che Dio non stava bene
Lo sanno tutti che sono vivo,
che son cattivo; ma non sanno
del dicembre di questo gennaio.
Perché son nato un giorno
che Dio non stava bene.
C’è un vuoto
nella mia aria metafisica
che nessuno può toccare:
il chiostro di un silenzio
che ha parlato a fior di fuoco.
Sono nato un giorno
che Dio non stava bene.
Scusa, fratello, scusa . . .
Bueno. Non me ne andrò
senza portar via dicembre
senza lasciar lì gennaio.
Perché sono nato un giorno
che Dio non stava bene.
Lo sanno tutti che son vivo,
che mastico . . . Ma non sanno
perché nel mio verso cigolano,
oscura pena
di morte,
venti che stridono
svitati via
dalla Sfinge
curiosa del deserto.
Lo sanno tutti . . . Ma non sanno
che la Luce è tisica
e l’Ombra grassa . . .
Ma non sanno che il Mistero sintetizza . . .
è la gobba musicale e triste
che da distante denuncia
il passo meridiano che porta
dai limiti ai Limiti.
Sono nato un giorno che Dio
non stava proprio niente bene.
La seconda non ha titolo. A capirla bene dice una cosa che ho sempre pensato, per tutto il tempo che ho fatto il mio mestiere.
Un uomo passa con un pane
sulle spalle
Scriverò, dopo, sul mio doppio?
Un altro si siede, si gratta, uccide
la pulce che si toglie da sotto l’ascella
Con che coraggio dibattere
di psicanalisi?
Un altro aveva un palo in mano
e mi è entrato nel petto
Mettersi a parlare, poi, di Socrate
col dottore?
Passa uno zoppo tenendo per mano un bambino
E io dovrei, dopo, leggere André Breton?
Uno trema dal freddo, tossisce, sputa sangue
Sarà mai più permesso anche solo alludere all’Io profondo?
Uno cerca nel fango nòccioli, gusci
Come fare, poi, a scrivere dell’infinito?
Un muratore cade da un tetto
e muore, prima ancora di pranzo
Dovrei dedicarmi, dopo,
a innovare l’uso della metafora, dell’allegoria?
Un mercante ruba sul peso,
un grammo, col cliente
Dovrei mettermi, dopo, a parlare
di quarta dimensione?
Un banchiere falsifica il bilancio
Con che faccia piangere, poi,
a teatro?
Un poveretto dorme, gli premono un piede sulla schiena
E io dovrei star lì a parlare
di Picasso con te?
Qualcuno segue un funerale singhiozzando
Come fare ad entrare nell’Accademia, adesso?
Qualcuno lucida il fucile in cucina
Chi ha più il coraggio di parlare dell’al di là?
Qualcuno passa contando sulle dita
Come parlare del non-Io
senza un grido?