Nelson Pereira dos Santos, ultimo di quattro figli, nasce a São Paulo il 22 ottobre 1928, da Antônio Pereira dos Santos e Angelina Binari (appartenente a una famiglia di emigranti veneti).
I suoi genitori, nonostante la difficile situazione economica, non tralasciano mai il loro interesse per le attività culturali. Infatti, Don Antônio, cinefilo consumato, trova sempre il tempo per poter assistere con tutta la sua famiglia al rituale della sala oscura: il cinema.
Senza alcun dubbio, è questo il motivo per cui Nelson, che frequenta molto prima il cinema che la scuola, già dall’adolescenza desidera fare cinema con tutte le sue forze. Alcuni anni dopo frequenta il Colégio do Estado (dove il PCB era particolarmente attivo). Qui Nelson, spesso, salta la lezione per recarsi nei sebos (posti dove vendono i libri usati) oppure nella Biblioteca Municipale, dove è solito divorare le opere di Dovstoievskij, José de Alencar, Castro Alves, Oswald de Andrade, Euclides da Cunha (Os Sertões colpì particolarmente l’immaginazione di Nelson), Graciliano Ramos, Jorge Amado, José Lins do Rego, Érico Verissimo e altri.
Nel’47 Nelson si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di São Paulo ove ha il primo vero contatto con la politica: aderisce al gruppo paulista “Partido Acadêmico Renovador” che include l’ala sinistra.
Laureatosi in giurisprudenza, segue un corso di giornalismo e lavora poi come giornalista per il Diário Carioca e per il Jornal do Brasil. Lavora inoltre come critico cinematografico ed impartisce lezioni di cinema in diverse università.
Il mondo cinematografico del Patriarca del Cinema Novo, Nelson Pereira dos Santos, spazia dall’assistenza di montaggio (Barravento, Cinco Vezes Favela, O Menino de Calça Branca e Pedreira de São Diogo), regia, scenografia, recitazione, fino alla produzione.
La sua filmografia è vastissima, comprende corto, medio e lungometraggi per il cinema e la televisione. La sua prima opera risale al 1950: si tratta del cortometraggio Juventud; successivamente lavora come assistente di regia di Artur Neves nel film O Saci del 1951.
Nel 1951 São Paulo è un crocevia di attività culturali: numerosi sono i concerti, i seminari, le esposizioni ed anche i gruppi di teatro amatoriale. Nelson aderisce a due di questi gruppi, dirigendo ed adattando in seguito una pièce, O Feijão e o Sonho.
Nello stesso anno Nelson lavora come assistente di regia di Rodolfo Nanni nel film O Saci (tratto da un racconto di Monteiro Lobato), diretto da Rodolfo Nanni. Nelson è già felicemente sposato e padre di Nelsinho, il primo dei suoi tre figli. È da allora che Nelson sogna di poter girare São Bernardo, romanzo di Graciliano Ramos (1934).
Il 1955 è l’anno del cambiamento del cinema brasiliano grazie al primo film neorealista Rio 40 Graus, cinema del quale Nelson è il precursore; cinema che è alla base delle origini del Cinema Novo: Vidas Secas, Deus e o diabo na terra do sol e Os Fuzis, costituiscono il primo “raccolto” che porterà il Cinema Brasiliano alla maturità.
I film che abbiamo presentato.
Vidas Secas
Brasile / 1963/ 1h 03 / 35 mm / B&N / v.o.s.t.it.
Regia e sceneggiatura: Nelson Pereira dos Santos.
Soggetto: dal romanzo omonimo di Graciliano Ramos.
Fotografia: José Rosa, Luiz Carlos Barreto.
Montaggio: Rafael Justo Valverde.
Musica: Leonardo Alencar.
Interpreti e personaggi: Atila Iório (Fabiano), Maria Ribeiro (Sinha Vitoria),
Orlando Macedo, Jofre Soares, i bambini Gilvan e
Geninvaldo, il cane Baleia.
Produzione: Herbert Richers, Luiz Carlos Barreto, Danilo Trelles.
Tra il 1957 e il 1958 ci fu una grande siccità nel Nordeste e Nelson fu incaricato di immortalare l’evento con la cinepresa.
Già allora aveva maturato l’idea di realizzare un film incentrato sulla siccità. Risale a quel periodo un movimento di ribellione legato alla questione agraria brasiliana: infatti, le Ligas Camponesas (appoggiate dal PCB), con a capo Francisco Julião, avevano iniziato la lotta contro gli abusi dei fazendeiros già nel 1955. Poiché la questione coinvolgeva tutti i ceti della società, Nelson ritenne importante la partecipazione al dibattito attraverso il messaggio cinematografico proponendo varie soluzioni per la crisi del settore agrario.
Fu così che in Nelson nacque l’idea del film dedicato alla terra; per realizzare questo progetto si ricordò che uno dei romanzi che aveva più rispondenza con la realtà e con lo spirito del Nordeste era Vidas Secas, scritto nel 1939 da Graciliano Ramos, suo “Deus Literário”.
In realtà il progetto di girare Vidas Secas (realizzato nel ’63) risale al 1959, ma fu interrotto a causa di un’inaspettata pioggia torrenziale che fece fiorire il sertão bahiano. Il regista, dinanzi alla “catastrofe”, improvvisò “Mandacaru Vermelho“. Quest’ultimo costituisce uno dei primi e validi tentativi di “scoperta” del Brasile per quanto riguarda l’autenticità della cultura nordestina. Attraverso il film Nelson fruga il Nordeste brasiliano e prende atto della sua realtà arretrata e tragica, a volte perfino grottesca, conferendole però una dimensione drammatica. L’importanza di questo decano del cinema brasiliano è da attribuirsi al lavoro capillare, fatto nei minimi dettagli, con cui tratta gli eventi storici e sociali.
La cospicua produzione filmica rende l’idea di come sia fondamentale per Nelson il desiderio di riscattare e far viva la memoria dei più grandi scrittori brasiliani. Primo fra tutti il suo “Deus Literário”, seguono poi Jorge Amado, Machado de Assis, Guimarães Rosa, Castro Alves, ed altri. L’intreccio del romanzo Vidas Secas si svolge tra gli anni 1940 e 1942, quando due grandi secas colpirono il Nordeste. Il film, omaggio a quest’opera immortale, inizia con una riflessione sul Nordeste brasiliano dove 27 milioni di abitanti vivono nella miseria più assoluta.
Attraverso Vidas Secas, Nelson descrive il sertão, la vita dei transumanti, l’arretratezza e la loro principale nemica, la siccità, con il carico di problemi che essa comporta per i sertanejos; tutto questo però, in modo molto diverso da quanto fatto in O Cangaceiro e in
O Pagador de promessas.
Il regista dipinge la fame dovuta alla siccità come il nemico peggiore dei sertanejos, ma non si sofferma su questo argomento: Nelson va oltre, accusando la cecità dei governanti. Per questo motivo la pellicola ha una finalità anche di propaganda politica: per salvare la situazione i governanti dovranno realizzare un’urgente riforma agraria. Di questo capolavoro non possiamo non apprezzare la fedeltà che il regista mantiene nei confronti dell’autore e del testo. E’ da rilevare, inoltre, il ruolo che Nelson assegna alla protagonista donna, denso di valori e di una forza tale da anticipare il movimento femminista.
Como era gostoso o meu francês
(Com’era buono il mio francese)
Brasile / 1971/ 35mm / 84′ / col. / v.o. s.t. fr.
Regia: Nelson Pereira dos Santos
Sceneggiatura: Nelson Pereira dos Santos, dialoghi in “tupí” Humberto Mauro
Fotografia: Dib Lufti
Scenografia: Regis Monteiro, Mara Chaves
Montaggio: Carlos Alberto Camuyrano
Musica: José Rodrix
Interpreti e personaggi: Arduíno Colassanti (il marinaio francese), Ana Maria Magalhães
(la ragazza), Eduardo Imbassahy Filho, Manfredo Colassanti,
José Kleber, Gabriel Arcanjo, Luiz Carlos Lacerda de Freitas,
Janira Santiago, Ana Maria Miranda.
Produzione: Condor Filmes, Luiz Carlos Barreto, Nelson Pereira dos Santos,
K. M. Eckstein, César Thedim
Nelson Pereira dos Santos gira nel 1973 Como era gostoso o meu Francês rivelando ancora una volta un’altra ispirazione gracilianesca: Caetés, romanzo scritto nel 1925 ma pubblicato nel 1933. Da quest’opera egli trae però soltanto un piccolo spunto, ovvero la parte concernente i Caetés.
Nelson maturò l’idea per la realizzazione di questo film quando girava Vidas Secas. Allora egli lavorava nel Nordeste ed era entrato in contatto con un gruppo di indios che, per molto tempo, era stato sottoposto alle cure paternalistiche dei gesuiti e che si trovava nella tappa finale di un lungo processo di acculturazione. In quella regione avvenne il famoso episodio della colonizzazione del Brasile: l’annientamento di tutta una nazione chiamata “Caetéis” o “Caetés”.
Prima di girare questo film delizioso Nelson dovette fare moltissime indagini etnologiche e storiche. Con il copione già pronto dovette vivere una vera e propria odissea: non trovava infatti alcun produttore disposto ad assumersi la responsabilità di un film sugli indios vestiti soltanto con la loro pelle: non era un problema economico, bensì “morale” sommato poi al momento politico di allora.
L’idea (come ricordato, nata già nel ’63) di realizzare questo film venne alla luce durante uno dei suoi viaggi quotidiani tra Niterói e Rio, dall’osservazione dell’Isola de Villegaignon, della Baia di Guanabara e dagli scenari immaginati da Nelson di come poteva essere il litorale fluminense ai tempi degli indios Tupinambás, dei portoghesi e dell’invasione francese.
In Caetés, romanzo psicologico, l’autore, (uomo dei nostri tempi che si sente Caeté) nel tentativo di recuperare la brasilianità, afferma “siamo tutti indios”. Nelson ci narra con la cinepresa ciò che accade tra gli indios del Nordeste brasiliano, a partire del più famoso atto di antropofagia nella storia del Brasile ai danni del vescovo Sardinha. Verso la fine degli anni ’60 il C.N. adotta con entusiasmo la tesi dell’Antropofagia di Oswald de Andrade secondo la quale bisogna divorare la cultura straniera per poi assimilarla, fino a ritrovare la vera identità brasiliana.
Attraverso questa “semplice commedia antropofaga”, Nelson P.d. S., ovvero “A Conciência do Cinema Novo”, ci propone una riflessione sul passato storico del Brasile. Como era Gostoso o meu Francês si colloca nel secolo XVI e racconta le vicissitudini di un colono francese prigioniero dei Tupinambás e dei malintesi risultanti dallo scontro/incontro fra le due culture, culminando poi in un finale inevitabile che racchiude una lezione di storia. Nelson prende diversi spunti dalla storia della conquista partendo dall’arrivo dei portoghesi e proseguendo poi con l’arrivo dei francesi (siamo in pieno centocinquantesimo anniversario dell’Indipendenza dal Portogallo).
Più volte egli ironizza sul carattere dei portoghesi, per esempio nei dialoghi fra due tupinambá a proposito di un francese: “Ele não chora como os portugueses”, “O português só anda com as mulheres”, oppure “O português não trouxe nada, são diferentes dos outros europeus”.
Nell’intreccio del film possiamo individuare precise indicazioni per interpretare avvenimenti del passato. Infatti l’importanza del cineasta paulista/carioca risiede anche nella sua sapienza e maestria nel portare a conoscenza questi eventi storici, di cui una buona parte del pubblico ignorava l’esistenza.
Il pubblico ha la possibilità di conoscere le fonti tradizionali: José de Anchieta, Renualdo Nóbrega, Pero de Magalhães Gandavo, Gabriel Soares de Souza, Jean Léry, l’abate Thevet, Hans Staden, ecc.
Nelson presenta attraverso i racconti e le illustrazioni dei cronisti, soprattutto del tedesco Staden, gli indios, “i selvaggi”, “i diabolici”: aggettivi questi che i cristiani davano loro e che, malgrado siano fossero trascorsi 500 anni, continuavano ad essere usati per misurare con lo stesso metro “morale” gli indios, che dovevano poi essere sterminati.
In Como era Gostoso o meu Francês il nostro regista mette in evidenza nuove preoccupazioni con un linguaggio più aperto e vigoroso, tant’è che ci presenta una novità: la maggior parte del film viene parlata in tupí (i dialoghi furono curati da Humberto Mauro), in francese e in portoghese, sottotitolato in portoghese, come a voler sottolineare l’importanza della propria identità. Il film finisce con una citazione di Mem de Sá, Governador Generale del Brasil nel 1557:
“Lá no mar pelejei, de maneira que nenhum tupiniquim ficou vivo,
estendidos ao longo da praja, rigidamente, os mortos ocuparam
cêrca de uma légua”.
Ovviamente, attraverso questa citazione, si legge l’intenzione di Nelson di proporre una riflessione sulla situazione attuale degli indios.
Fome de amor
(Fame d’amore)
Brasile / 1968( 73 min. / 35mm / B&N / v.o.s.t.it.
Regia: Nelson Pereira dos Santos
Sceneggiatura: Nelson Pereira dos Santos, Luiz Carlos Ripper
Soggetto: Guilherme Figueiredo
Fotografia: Dib Lufti
Scenografia: Luiz Carlos Ripper
Montaggio: Rafael Justo Valverde
Musica: Guilhermo Magalhães Vaz
Interpreti: Leila Diniz, Arduíno Colassanti, Irene Stefania, Paulo Porto,
Manfredo Colassanti, Lia Rossi, Olga Danitch
Produzione: Herbert Richers Produçoes Cinematografica, Paulo Porto
Quattro persone molto diverse si incontrano in una piccola isola vicino a Rio. Alfredo, che è rimasto cieco, sordo e muto in seguito a un incidente, è il proprietario dell’isola, divenuta suo rifugio. Ula, sensuale e molto più giovane, è sposata con lui da prima dell’incidente. Felipe, giovane, seduttore, poco attento alle sensibilità altrui. E Mariana, sua moglie, studiosa di musica concreta a New York. Per lei Felipe è stato il primo uomo. Ula e Felipe finiranno per diventare amanti, mentre Mariana e Alfredo stringeranno un forte legame.
“Fome de amor doveva essere diretto da un mio assistente; io mi sarei dovuto limitare a fare da supervisore. Ma alla fine il produttore non volle accettare la sceneggiatura presentata. Mi sono assunto, allora, la regia del film, con la più ampia libertà di modificare la storia. Dopo Vidas secas mi si offrivano le condizioni di poter realizzare un grande progetto… scrivere il film man mano che lo andavo girando… e l’ho fatto così, reinventandolo continuamente, fino al momento del montaggio e del doppiaggio. Mi sembra il più personale dei miei film: non è stato più quello che pensavo di fare, si è trasformato in ciò che realmente stavo provando al momento delle riprese. In Fome de amor non è fondamentale la critica, ma il suo contrario: il superamento della critica.” (Nelson Pereira dos Santos)