Tania Libertad

tania_libertad

Nata a Zaña, Nord del Perù il 24 ottobre 1952, risiede in Messico da più di 20 anni.

Con 37 dischi e più di 4 milioni di copie vendute, il suo lavoro è stato applaudito in tutto il continente Americano, in Europa e in Africa. I suoi dischi più recenti Costa Negra e Negro Color, la hanno piazzata tra le cantanti più importanti della cosiddetta World Music.

Tania è sinonimo di rischio e libertà, di qualità virtuosismo vocale, di grande autenticità, di passione, di impegno con l’essere umano e con la vita, motivo per il quale è stata nominata ARTISTA DELL’UNESCO PER LA PACE ed il governo peruviano ha insignita con il titolo di COMMENDATRICE e dal governo del Brasile con la ORDEN DE RÍO BRANCO.

L’emozione che suscita negli spettatori e il suo modo di cantare, venne riassunto in un bel testo che le ha dedicato il grande scrittore portoghese José Saramago, premio Nobel per la letteratura:

La prima volta che sentii cantare Tania Libertad, ebbi la rivelazione de las alturas dell’emozione alla quale può portarci una voce nuda, sola davanti al mondo, senza alcuno strumento che la accompagnasse.Tania cantava a cappella “La paloma”, di Rafael Alberti, ed ogni nota accarezzava una corda della mia sensibilità fino all’abbagliamento”. José Saramago

Punto di vista

Contro l’aridità dell’anima

“Zaña è un paese della costa nord del Perù, dove gli spagnoli pensarono di costruire la capitale del Paese. Oggi è un luogo di rovine, con case di fango, in mezzo al deserto e senza un po’ di verde. E’ terra, vento, ci sono bambini poveri sporchi di polvere, bambini grigi… Lì sono nata ed ho vissuto fino a un anno e mezzo di età. Dopo siamo andati a Chiclayo, anch’esso arido, dove abbiamo vissuto in un quartiere periferico della città. La mia casa si trovava a circa un isolato di distanza da un distributore di benzina e dalla strada, dove passavano i camion con la canna da zucchero verso i traffici. Il terreno rimaneva ricoperto di canna secca, ma anche di un miscuglio di olio, cherosene e ruote vecchie… era la stessa desolazione, terribile, come in un paesaggio postbellico.

Ho una foto di quella bambina grigia e mocciosa. Non porto le scarpe e indosso un vestito malridotto con la costura rotta, le treccine tenute da un filo perché avevo pochi capelli. Mio padre, che era una guardia civile, lavorava fino a sera; così anche mia madre, che lavorava nell’Ospedale Operaio. I miei sette fratelli maschietti ed io eravamo dei selvaggi. Sempre per terra, con il viso sporco e giocando con amici senza nome, come i figli del falegname o come quelli della cuoca.

Noi eravamo i figli dell’infermiera, nel mio quartiere non era necessario sapere di più. Questo era l’ambiente in cui ho vissuto. L’aridità era di vario tipo: paesaggistica ed anche affettiva. Una ragazza della sierra era l’incaricata di farci crescere male, mi mandava a raccogliere i mozziconi delle sigarette per terra, per poi fumarseli. Allora io pensavo che tutto il mondo fosse così, che nessun bambino avesse le scarpe, che il verde non esistesse e che ci fossero alcune cattive ragazze che fumavano.

A 16 anni ero già conosciuta come cantante, nella mia famiglia tutto girava intorno a me. Siamo andati a Lima dove, oltre a cantare, studiai ingegneria della pescheria per pressione di mio padre. Ricordo i viaggi con i pescatori di Chorrillos. Studiavamo le risorse marine, le proprietà, le diverse specie. Quello fu il mio primo contatto con l’essenza di una parte della natura. Quando mancavano pochi mesi alla fine della mia carriera, abbandonai, me ne andai di casa e mi dedicai pienamente all’arte. Avevo 21 anni. La mia fanciullezza così arida mi spinse a costruire un mondo interno fecondo, che poi ho allargato agli spazi esterni, come la mia casa, tutta piena di piante, di verde. Inoltre sono molto affettuosa. Credo che la biodiversità comprenda tutti gli aspetti della vita di una persona. Perché, se siamo contaminati nello spirito e nell’anima, naturalmente contamineremo anche l’esterno.

A volte l’incoscienza porta a non rispettare il nostro ambiente, le strade sono piene di spazzatura, di rumore, di violenza… Stiamo perdendo i nostri paesi a causa dell’ambizione senza limite. La crisi ambientale è legata al potere e alla superbia umana: quell’idea che non moriremo, gli altri sì – noi diciamo – ma noi no. Bisogna imparare a rispettare la natura. Coloro che hanno il potere dovrebbero preoccuparsi di cambiare la cultura del denaro che fa parte della società attuale. Mi preoccupa che si parli tanto ai poveri di democrazia. Per cosa? Se non puoi mangiare, né viaggiare dove vuoi o comprarti i vestiti che ti piacciono. Non dico che dobbiamo vivere in una dittatura, certo, ma la democrazia senza benefici economici, senza cultura, istruzione, salute e giustizia, perché la vogliamo? Le nostre aspirazioni sono più elevate: noi desideriamo la libertà”.

* tratto dall’intervista esclusiva di Tierramérica alla cantante peruviana.